Fotografie di Stefano Di Marco
È la mattina del 19 dicembre, il sabato che precede quello che si preannuncia essere un Natale anomalo, in linea con gran parte dell’anno che volge al termine. Decidiamo di dirigerci in alcune località sciistiche per documentare e fare esperienza in prima persona della nuova realtà che stanno vivendo i comprensori, e la montagna in generale, a causa della pandemia.
In questo weekend che precede il Natale, l’ultimo di colore giallo in cui è ammesso viaggiare in comuni diversi dal proprio, ci rechiamo laddove sarebbe dovuta iniziare la stagione invernale 2020/2021 che, a causa dell’inarrestabile trend di contagi da Covid19, è stata a più riprese posticipata, nel pieno di quella che abbiamo appreso essere la seconda ondata.
Le immagini catturate nel nostro reportage si prestano ad una interpretazione ambivalente.
Da un lato si respira un'aria malinconica, in un periodo in cui la montagna sarebbe stata meta prediletta del turismo invernale appare abbandonata a se stessa: i parcheggi sono vuoti o quasi, gli impianti fermi e colmi di neve, gli alberghi e gli hotel chiusi come se il tempo si fosse fermato. Dall’altro lato, la lettura che secondo noi è possibile dare alle immagini che seguono è profetica nella misura in cui ci mettono di fronte alle circostanze critiche che da tempo interessano l’area alpina e che appaiono oggi sempre meno inderogabili.
Sotto la scure della pandemia è emersa infatti, con tutta la sua drammaticità, la crisi del settore legato alla neve che, per quanto sia scomodo da accettare, ha forse solo evidenziato la precarietà insita in questo modello di sviluppo montano, da tempo messo in discussione da esperti di montagna e di cambiamenti climatici. Della massiccia opera umana delle infrastrutture da neve, di cui si percepisce lo stridore con la bellezza del paesaggio e della natura circostanti, rimangono il vuoto e il silenzio catturati negli scatti. Immagini che evocano scenari che non avremmo mai pensato di vedere e che, quasi come fosse per l’appunto una profezia, portano alla mente contesti in cui quell’abbandono è già presente in altre località del Piemonte.
Jafferau
La prima tappa di questo lavoro si trova sulle Alpi Cozie, in località Fregiusia (Bardonecchia), Alta Val di Susa, a 1936 m di altitudine. Da qui partono gli impianti di risalita del Comprensorio Jafferau, con le sue due seggiovie 6 Gigante e Ban, l’impianto per la pista baby e le sciovie Challier e Jafferau.
Il comprensorio sciistico Jafferau, il cui nome deriva dall’omonimo monte alto 2807 m, insieme al Colomion e al Melezet, rappresenta una delle principali aree dedicate agli sport invernali di Bardonecchia, a due passi dal capoluogo piemontese, con 100 km di piste servite complessivamente da 22 impianti.
Lo scenario che si apre ai nostri occhi è surreale. Ancor prima di scendere sulle piste è difficile non notare l’area che circonda la struttura ricettiva principe di questa zona, l’Hotel-Residence Jafferau, che in un giorno come questo avrebbe goduto della presenza di frotte di persone con ai piedi scarponi da sci, tavole da snowboard sotto braccio e slittini al seguito.
Finestre e balconi delle camere dell’hotel non lasciano trasparire vita al loro interno; le vetrine del locale per il noleggio attrezzatura sono spente e l’ingresso chiuso come nei periodi fuori stagione.
Anche l’ingresso del bar/locanda, prospicente all’impianto di telecabina Bardonecchia-Fregiusia che collega il parcheggio poco più a valle con le piste, non riserva sorprese: l’accesso è del tutto sbarrato da pannelli di legno.
Un silenzio ovattato e un paesaggio fiabesco avvolgono l’intera area su cui ci troviamo, crocevia delle piste blu, Gran Pista e Primavera, e delle rosse Belvedere e Ripert.
I volti che incrociamo sulle piste e vicino al bosco si contano sulle dita di una mano, in coppia o in solitaria, l’impressione è che si cerchi di far scorte di aria buona e della pace che la montagna sa infondere, finché si può.
I seggiolini dell’impianto di risalita 6P Gigante, che con i suoi 1607 m di lunghezza porta su in quota a 2363 m, fermi e sospesi, sono colmi dell’abbondante neve di questo inconsueto dicembre.
Circondati dall’immensità delle montagne che delimitano il nostro orizzonte, attorno a noi rimangono i resti di quello che potrebbe essere un set cinematografico: una scenografia sterile, frutto del laborioso lavoro di addomesticamento di un ambiente selvatico e impervio, dimenticata dal tempo.
San Sicario
Ci spostiamo in un altro comprensorio dell’Alta Val di Susa, al confine con la Francia, la ViaLattea che, con i suoi 70 impianti di risalita e le sue 249 piste, distribuite fra i comuni alpini di Sestriere, Sauze d’Oulx, Oulx, San Sicario, Cesana, Pragelato, Claviere e Montgenèvre, rappresenta un polo attrattivo importante per il turismo nazionale e internazionale della regione piemontese.
Siamo a San Sicario Alto, frazione del comune Cesana Torinese, a 1700 m di altitudine, le strade che portano alle piste sono vuote; anche qui, se non fosse che per una manciata di persone, il silenzio regnerebbe sovrano indiscusso.
Superato il parcheggio, i sentieri che dal boschetto portano alla stazione di arrivo della telecabina Cesana-Ski Lodge, sono ricoperti da una spessa coltre nevosa ancora intatta. Da qui il paesaggio circostante è piuttosto chiuso, lasciando alle spalle la borgata di San Sicario, proseguendo verso est, lo sguardo incontra alcune strutture, probabilmente un tempo adibite a residence, trascurate e fatiscenti, pronte ad essere rimesse a lucido per nuovi futuri acquirenti.
Con la Ski Lodge Sellette, lunga 2022 m (1726-2253), si raggiungono altitudini che promettono viste meno contaminate fino ad arrivare ai 2702 m del Monte Fraitève, al confine con Sestriere che raggiungiamo in auto dalla strada provinciale del Colle di Sestriere.
Sestriere
Sestriere è il comune più alto d’Italia situato a 2035 m ed esprime, forse più di ogni altra località alpina, quell’opera di addomesticamento sfrenato tipica degli anni del boom economico degli anni ’50-‘60 di cui, però, ne è stata pioniera. Fu Giovanni Agnelli, dopo averne acquisito la proprietà negli anni ’30, a trasformare queste terre nel sogno borghese dell’epoca: portare la cultura cittadina ed elitaria sulla neve, nello specifico sugli sci.
Non si può non essere colpiti dall’impronta architettonica di Sestriere che nulla ha a che vedere con l’ambiente circostante.
La voracità edilizia qui è sfuggita di mano, numerosi sono infatti gli scorci sulle strutture ricettive e commerciali di dubbio valore estetico; un tronfio esempio di rara arroganza umana.
Di alpino rimane ben poco, a parte le magnifiche vette che abbracciano il Colle di Sestriere, dal Monte Motta (2823 m), alla Punta Rognosa di Sestriere (3.280 m).
Ai piedi degli impianti di risalita Garnel, un vasto pianoro di seggiovie e sciovie lascia intuire la straordinaria portata del flusso turistico, atteso annualmente per mettere in moto l’intera macchina del turismo sciistico.
Anche qui, come nelle precedenti località, notiamo sulle piste vuote la presenza di poche anime venute per una camminata o per giocare a palle di neve con la famiglia.
Poco distante da noi si sente un forte suono che ricorda gli ululati di un branco di lupi; la remota sensazione di essere ancora immersi nella natura emerge con inaspettato vigore. Seguiamo quel suono con una certa curiosità fino a intravedere l’inizio di un bosco incantevole, risparmiato dalle ruspe, dove scorgiamo decine di cani husky legati a delle slitte che, dal loro continuo ululare, intuiamo essere in attesa di ricevere il segnale per partire.
Si chiama Dog Sledding l’attività ludico-ricreativa, che poco ha in comune con la cultura e la tradizione alpine, che consente a grandi e piccole/i di provare l’ebrezza di farsi trainare in slitta dai Siberian husky.
Utilizzo intensivo del suolo alpino, degrado architettonico e offerte turistiche da parco divertimento ci lasciano intuire quanto siamo ancora lontani dall’abbracciare una visione che promuova, in modo sostenibile, il patrimonio culturale e identitario del territorio auspicata nella Convenzione delle Alpi.
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